Spiritualità

Spiritualità e missione

La vita cristiana è essenzialmente vita “nello Spirito”, poiché grazie al Battesimo il cristiano è interiormente illuminato e guidato dallo Spirito Santo a conoscere l’Amore di Dio e a corrispondere ad esso con il dono totale della propria persona al Signore Gesù, che per primo lo ha amato offrendo Se stesso sulla Croce.
Conoscere, amare e imitare Gesù Cristo “per vivere in lui la vita trinitaria e trasformare con lui la storia fino al suo compimento nella Gerusalemme Celeste” (Giovanni Paolo II, Novo millennio ineunte, 29); è questo il punto di riferimento per ogni spiritualità cristiana, che non cambia con il variare dei tempi e delle culture – pur tenendo conto di esse – e che comporta alcune priorità pastorali, indicate anche da Papa Giovanni Paolo II all’inizio del Terzo millennio cristiano.

  1. La santità
    La vocazione fondamentale di ogni cristiano – che segue alla chiamata e al dono di Dio – è la santità di vita: “Questa è la volontà di Dio: la vostra santificazione” (1Ts ,3). La santità non indica una vita straordinaria riservata ad alcuni “eletti”, piuttosto fa riferimento al dono dello Spirito Santo ricevuto nel Battesimo e negli altri Sacramenti, che deve permeare totalmente l’esistenza di ogni cristiano: “In realtà, porre la programmazione pastorale nel segno della santità […] significa esprimere la convinzione che, se il battesimo è un vero ingresso nella santità di Dio attraverso l’inserimento in Cristo e l’inabitazione del suo Spirito, sarebbe un controsenso accontentarsi di una vita mediocre, vissuta all’insegna di un’etica minimalistica e di una religiosità superficiale. Chiedere a un catecumeno: “Vuoi ricevere il battesimo?” significa al tempo stesso chiedergli: “Vuoi diventare santo?”. Significa porre sulla sua strada il radicalismo del discorso della montagna: “Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste” (Mt 5,48). […] È ora di riproporre a tutti con convinzione questa “misura alta” della vita cristiana ordinaria: tutta la vita della comunità ecclesiale e delle famiglie cristiane deve portare in questa direzione” (Giovanni Paolo II, Novo millennio ineunte, 31). Queste espressioni non sono altro che la riformulazione di quanto affermato dal Concilio Vaticano II: “Tutti i fedeli, di qualsiasi stato o grado sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità” (Lumen gentium, 40).
  2. Preghiera
    Come raggiungere la meta della santità? Come essere pienamente “abitati” dallo Spirito Santo e trasformati nella carità di Dio?
    È necessario anzitutto riscoprire l’”arte della preghiera”, che apre i nostri cuori all’intimità con Dio e nella quale lo Spirito Santo attua una più profonda e personale comunione con Cristo e in Lui col Padre.
    “Nella preghiera si sviluppa quel dialogo con Cristo che ci rende suoi intimi: “Rimanete in me e io in voi” (Gv 15,4). Questa reciprocità è la sostanza stessa, l’anima della vita cristiana ed è condizione di ogni autentica vita pastorale. Realizzata in noi dallo Spirito Santo, essa ci apre, attraverso Cristo e in Cristo, alla contemplazione del volto del Padre. Imparare questa logica trinitaria della preghiera cristiana, vivendola pienamente innanzitutto nella liturgia, culmine e fonte della vita ecclesiale, ma anche nell’esperienza personale, è il segreto di un cristianesimo veramente vitale, che non ha motivo di temere il futuro, perché continuamente torna alle sorgenti e in esse si rigenera” (Giovanni Paolo II, Novo millennio ineunte, 32).
    La preghiera liturgica delle Lodi e dei Vespri nutre e sviluppa la “liturgia del cuore”, favorendo la continua e generosa offerta della propria persona a Dio, nella ricerca e nel compimento esclusivo della volontà di Dio.
    La Tradizione mistica della Chiesa – tanto in occidente quanto in oriente – mostra fino a quale profondità o altezza possa giungere il rapporto con Dio nella preghiera: “rendere la persona umana totalmente posseduta dall’Amato divino, vibrante al tocco dello Spirito, filialmente abbandonata nel cuore del Padre” (Giovanni Paolo II, Novo millennio ineunte, 33), condizione che corrisponde alla promessa di Cristo ai suoi discepoli: “Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui” (Gv 14,21); “Se uno mi ama osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” (Gv 14,23). L’esperienza mistica che la preghiera dischiude è un cammino interamente sostenuto dalla grazia di Dio, a cui deve corrispondere la libera adesione della volontà; esso consiste principalmente nell’esercizio delle virtù teologali (fede, speranza, carità) e passa attraverso la “notte oscura” del senso e dello spirito che purifica intimamente l’anima, affinché la volontà dell’uomo diventi così aderente e conforme alla volontà di Dio da formare con Lui un solo Spirito (cf 1Cor 6,17): in tal modo l’anima è progressivamente disposta all’unione trasformante o unione sponsale.
    Una delle obiezioni più comuni alla preghiera è che essa distoglie l’uomo dal suo impegno concreto nella storia; in realtà “aprendo il cuore all’amore di Dio, lo apre anche all’amore dei fratelli, e rende capaci di costruire la storia secondo il disegno di Dio” (Giovanni Paolo II, Novo millennio ineunte, 33).
  3. L’Eucaristia
    All’incontro con Cristo nella preghiera deve aggiungersi l’incontro con la presenza viva di Cristo nell’Eucaristia. Essa è memoriale della Passione, morte e risurrezione di Cristo non solo perché i fedeli, convocati in unità per volontà di Dio, ricordano con gioia e gratitudine il Mistero Pasquale, ma – con maggiore profondità e realtà – perché Cristo stesso rende presente quello stesso mistero, consumato una volta per tutte sull’altare della Croce. Nella celebrazione eucaristica il Signore Gesù vive in mezzo a noi, sotto l’apparenza del pane e del vino (con tutta la sua Persona: corpo, sangue, anima e divinità) per offrire Se stesso al Padre in sacrificio d’amore e per introdurci nella dinamica della sua oblazione (cf Benedetto XVI, Deus caritas est, 13). Nel Sacramento dell’Eucaristia si attua l’ostensione memoriale dell’unico sacrificio di Cristo, ossia viene reso presente nell’oggi quello stesso ed identico sacrificio compiuto da Cristo sul Calvario, affinché, unendoci ad esso, possiamo attingerne con abbondanza i frutti inesauribili.
    L’Eucaristia è anche cibo di verità e di vita. In essa ci si nutre della presenza reale di Cristo che viene in noi, affinché grazie al dono dello Spirito Santo possiamo partecipare della sua stessa vita e diventiamo in Lui un solo corpo e un solo spirito. “Colui che si nutre di Cristo nell’Eucaristia non deve attendere l’aldilà per ricevere la vita eterna: la possiede già sulla terra, come primizia della pienezza futura, che riguarderà l’uomo nella sua totalità. Nell’Eucaristia riceviamo infatti anche la garanzia della risurrezione corporea alla fine del mondo: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno” (Gv 6,54)” (Giovanni Paolo II, Ecclesia de eucharistia, 18).
    Di fronte a questo mistero della fede è naturale e conveniente l’atteggiamento di adorazione che si prolunga anche al di fuori della celebrazione eucaristica, in modo tale da preparare ed arricchire l’esperienza della comunione sacramentale con Cristo. “Nell’Eucaristia, infatti, il Figlio di Dio ci viene incontro e desidera unirsi a noi; l’adorazione eucaristica non è che l’ovvio sviluppo della celebrazione eucaristica, la quale è in se stessa il più grande atto d’adorazione della Chiesa. Ricevere l’Eucaristia significa porsi in atteggiamento di adorazione verso Colui che riceviamo. […] L’atto di adorazione al di fuori della santa Messa prolunga ed intensifica quanto s’è fatto nella Celebrazione liturgica stessa. Infatti “soltanto nell’adorazione può maturare un’accoglienza profonda e vera. E proprio in questo atto personale di incontro col Signore matura poi anche la missione sociale che nell’Eucaristia è racchiusa”” (Benedetto XVI, Sacramentum caritatis, 66).
    La reale partecipazione alla vita di Cristo Gesù, implica un serio e consapevole impegno alla conversione personale, al fine di essere trovati in Cristo, come suoi veri imitatori. Proprio per questo motivo l’Eucaristia, sorgente inesauribile di amore, stimola un profondo e genuino senso di responsabilità verso la nostra esistenza terrena, verso la società e verso il prossimo, per trasformare il mondo e le strutture del vivere sociale in conformità al Vangelo di Cristo.
  4. Riconciliazione
    Una vita “eucaristica” presuppone una vita “riconciliata” con Dio e con i fratelli. Infatti, il “cuore” di Dio è un “cuore” misericordioso, che perdona il peccato, portandone su di sé le conseguenze. Ricorrere con fiducia al perdono di Dio è il modo per scoprire con più realismo il vero volto di Cristo che ci manifesta l’amore del Padre.
    Il Sacramento della penitenza è la via ordinaria attraverso cui si può ottenere il perdono e la remissione dei peccati gravi commessi dopo il battesimo (cf Giovanni Paolo II, Reconciliatio et paenitentia, 31), che, per quanto personali e nascosti, costituiscono sempre una ferita del legame con il Corpo di Cristo, che è la Chiesa e la cui remissione necessita giustamente una mediazione ecclesiale.
    La “scuola” della penitenza e del perdono ci insegna a non presumere di noi stessi, a riconoscerci sempre peccatori e bisognosi della grazia di Dio; essa ci preserva dall’autosufficienza e dall’illusione di poterci giustificare da soli o in base alle nostre opere. Ci mostra che la via della conversione è tutt’altro che immediata e naturale, ma necessita impegno e sacrificio. Ci abitua ad essere comprensivi e pazienti con gli altri, poiché ci mette dinnanzi la grande pazienza e misericordia di Dio con noi. Infine, ci riporta al mistero della Croce di Cristo, al suo farsi carico delle nostre infermità: Egli giusto e senza peccato si è caricato delle nostre iniquità e ha porta nel suo corpo il castigo per le nostre colpe, riparando in se stesso i peccati degli uomini. È questo l’amore più grande – dare la vita per i propri amici (Gv 15,13), tra cui sono da considerare anche i nemici e i persecutori (cf Mt 5,44) – a cui Egli ci chiama, perché attirati dal suo amore sappiamo anche noi offrire la nostra vita con Lui, per riparare con l’amore alle “mancanze” d’amore.
  5. La Parola di Dio
    Per conoscere la volontà di Dio è necessario ascoltare la sua Parola di verità che ci illumina sul reale cammino da intraprendere per giungere alla piena comunione con Lui. Come la Vergine Maria, dobbiamo custodire nel cuore le parole di Gesù, Verbo Incarnato, che ci rivelano l’amore del Padre e insieme ci stimolano alla conversione, poiché ci manifestano la verità su noi stessi, facendo luce sulle nostre persone, sui nostri pensieri e sulle nostre azioni. Lo Spirito Santo, che ha parlato per mezzo dei profeti, ha anche ispirato gli Evangelisti e gli altri Autori della Sacra Scrittura; questa va accolta come è veramente: Parola di Dio che opera nei cuori dei credenti (cf 1Ts 2,13). Proprio in quanto ispirata e donata alla Chiesa, la Scrittura non può essere interpretata in modo soggettivo (cf 2Pt 1,20), ma ha bisogno della Tradizione e del Magistero della Chiesa per essere compresa correttamente e in tutta la sua profondità.
    “Ora, poiché la Sacra Scrittura dev’essere letta e interpretata con lo stesso Spirito con il quale è stata scritta, per dedurre esattamente il senso dei testi sacri, si deve badare non meno diligentemente al contenuto che all’unità di tutta la Scrittura, tenendo conto della viva Tradizione di tutta la Chiesa e dell’analogia della fede. […] Tutti questi dati circa il modo di interpretare la Scrittura sono sottoposti in ultima istanza al giudizio della Chiesa, che adempie il divino comando e il ministero di conservare e interpretare la parola di Dio” (Concilio Vaticano II, Dei verbum, 12).
    L’ascolto della Parola di Dio è finalizzato alla conversione, ma anche all’annuncio e alla testimonianza del Vangelo: “Occorre riaccendere in noi lo slancio delle origini, lasciandoci pervadere dall’ardore della predicazione apostolica seguita dalla Pentecoste. Dobbiamo rivivere in noi il sentimento infuocato di Paolo, il quale esclamava: “Guai a me se non predicassi il Vangelo!” (1Cor 9,16). Questa passione non mancherà di suscitare nella chiesa una nuova missionarietà, che non potrà essere demandata a una porzione di “specialisti”, ma dovrà coinvolgere la responsabilità di tutti i membri del popolo di Dio. Chi ha incontrato veramente Cristo, non può tenerlo per sé, deve annunciarlo. […] Ci sostenga e orienti, in questa “missionarietà” fiduciosa, intraprendente, creativa, l’esempio fulgido dei tanti testimoni della fede che il giubileo ci ha fatto rievocare. La Chiesa ha trovato sempre, nei suoi martiri, un seme di vita. Sanguis martyrum – semen christianorum: questa celebre “legge” enunciata da Tertulliano, si è dimostrata sempre vera alla prova della storia. Non sarà così anche per il secolo, per il millennio che stiamo iniziando?” (Giovanni Paolo II, Novo millennio ineunte, 40-41).

“La Sacra Tradizione e la Sacra Scrittura sono dunque strettamente congiunte e comunicanti tra loro. Sgorgando entrambe dalla stessa divina sorgente, in un certo senso confluiscono in una cosa sola e tendono allo stesso fine. Difatti la Sacra Scrittura è parola di Dio in quanto è messa per iscritto sotto l’ispirazione dello Spirito divino; mentre la Sacra Tradizione trasmette integralmente ai successori degli Apostoli la parola di Dio a questi affidata da Cristo Signore e dallo Spirito Santo perché; illuminati da quello Spirito di verità, con la loro predicazione fedelmente la conservino, la espongano e la diffondano; avviene così che la Chiesa non attinge dalla sola Scrittura la sua certezza su tutto ciò che è rivelato. Perciò l’una e l’altra devono essere accolte e venerate con uguale sentimento di pietà e di rispetto. […] Tuttavia il compito di interpretare autenticamente la parola di Dio scritta o trasmessa è stato affidato al solo Magistero vivo della Chiesa, la cui autorità viene esercitata a nome di Gesù Cristo. Questo magistero non è al di sopra della parola di Dio, ma la serve, insegnando soltanto ciò che è stato trasmesso, in quanto, per comando divino e con l’assistenza dello Spirito Santo, piamente l’ascolta, santamente la custodisce e fedelmente l’espone, e da quest’unico deposito della fede trae quello che propone da credere come rivelato da Dio” (Concilio Vaticano II, Dei verbum, 9-11).